Nato a Torre Pellice il 15 agosto 1925 in una famiglia antifascista, suo padre è sempre stato contrario agli ideali fascisti e non aderì mai al partito:
“mio padre ha sempre avuto la buona idea di non prendere mai la cimice, è uno dei pochi di Torre Pellice, saranno 10 -12 dico massimo, che non hanno mai avuto la cimice. Cos’era la cimice? Era il simbolo dell’iscrizione al partito nazionale fascista che tu portavi all’occhiello”.
All’epoca, in un clima di tensione e repressione politica, la popolazione si divideva in due schieramenti opposti: i sostenitori del regime e quelli che invece gli erano contrari. Nonostante nella zona della Val Pellice, dove viveva Giordano, la Chiesa Valdese con la sua tradizionale educazione alla libertà favorisse l’antifascismo, parte della popolazione accettava gli ideali del regime
“Diremo così, la linea di demarcazione non era sottile come quella (indicando il piccolo solco tra due banchi) era netta: o sei di qua, o sei di là. Forse è stato uno dei periodi, in un certo senso, forse più semplice per decidere, o vai di qua o vai di là. Puoi anche rimanere così se ci riesci, qualche d’uno, non tanti non lo so, sono stati rinchiusi 18 mesi in una stanza a casa, lì era un po’ pericoloso”
Situazione analoga si verificava nelle scuole dove sin dalle elementari veniva imposto, secondo delle rigide riforme, un insegnamento di stampo fascista soprattutto per mezzo dell’ONB (Opera Nazionale Balilla), poi assorbita dalla GIL (Gioventù Italiana del Littorio) il cui compito era quello di fornire un’educazione fisica e morale obbligatoria per i giovani dai 6 ai 18 anni suddividendoli in 3 gruppi: figli della lupa dai 6 agli 8 anni, balilla dagli 8 ai 14 e, infine, avanguardisti dai 14 ai 18.
In questo programma di educazione erano previste esercitazioni post-scolastiche, sabati fascisti, ovvero pomeriggi dedicati ad attività di carattere militare, sportivo o politico, e adunate. Questa educazione veniva fornita in modo tale da preparare i giovani per l’adesione al Partito Nazionale fascista:
“Le adunate erano obbligatorie, ma a noi andava benissimo, il sabato pomeriggio invece di essere a scuola andavamo a fare ginnastica, attenti e riposo e quando possibile giocavamo a pallone, poi non c’erano maestre. Se non eri andato lì dovevi giustificare… Il comandante che doveva dirigere era uno che se ne impippava, andava lì perché doveva andare. Facevi due o tre su e giù, avanti march, dietrofront, riposo e poi facevi il gioco della palla, però se non eri andato dovevi giustificare.”
“Le adunate si susseguivano con una certa regolarità tutti i giorni. Un giorno, adesso non mi ricordo più com’era, era di sera, di notte praticamente, forse forse proprio quel giorno di Mussolini, stavamo rientrando, facevamo via San Paolo…dove c’era la casa del fascio che era intitolata a Amos Maramotti, era un toscano fascista che è stato ammazzato nel 20 o nel 21 quando ci sono stati degli scontri tra i fascisti e i Rossi o gli scioperanti o qualcosa di simile. Si camminava, naturalmente in testa c’erano i gonfaloni, le bandiere, questi qua belli… a un certo punto notiamo un certo movimento, una certa agitazione in testa alla colonna corre voce (che) han preso uno, han fermato uno perché quando è passata la bandiera non ha salutato…arriviamo davanti il gruppo casa fascista Amos Maramotti, ci schierano tutti; un ufficiale… un signore che dovrebbe corrispondere al capitano, fa un bel discorso e poi si rivolge ai moschettieri: “voi due venite sopra con me e andiamo a dare una lezione a quello lì”. Lì ho imparato qualche cosa, l’ ho visto sul campo come si direbbe oggi cos’era il fascismo”.
Al termine delle elementari, oltre all’ONB i ragazzi dell’epoca di Giordano dovevano scegliere quale scuola superiore frequentare. Nello specifico le strade possibili per Giulio erano poche: il liceo classico, quello scientifico, ragioneria, l’Istituto magistrale oppure la scuola di avviamento al lavoro.
Siccome era di piccola statura e poco adatto alla leva, Giulio proseguì gli studi diplomandosi come maestro. Inoltre, visto che la sua famiglia non era in una condizione economica agiata, la sua scelta ricadde su questo indirizzo soprattutto perché era stato reso gratuito da Mussolini, che da giovane aveva frequentato la stessa scuola e riteneva che questa potesse dare una connotazione più virile all’uomo:
“il maestro, secondo lui, dava un’impronta più maschile, più energica, più volitiva, la parola era volitiva, più volitiva delle signorine. Era un rafforzamento della razza.”
Per avere una visione più chiara di cosa significava andare a scuola nel Ventennio fascista e di come la società e la formazione delle nuove generazioni fossero costantemente sotto controllo, Giordano nel corso dell’intervista ci riporta due chiari esempi:
“Alle scuole elementari, sarà stata terza o quarta, nel 1935 c’era stato un plebiscito la domenica; il lunedì o il martedì andiamo a scuola e la maestra ci chiede se i nostri genitori erano andati a votare e si era alzata un ragazzina, Caterina si chiamava, che abitava in montagna e dice che suo papà non era andato. Si sono presi un cicchetto lei e suo padre. Usciamo io e Franco Pasquet, un partigiano e scrittore di poesie, e ci diciamo che neanche i nostri padri erano andati, ma siamo stati belli zitti perché sapevamo come sarebbe andata. A casa mia si diceva: non devi mai dire fuori quello che si dice dentro. Quindi questa qua si è presa una lavata di capo: questo era l’ambiente scolastico. Quindi dovete capire che la vita era totalmente diversa, che la società di allora era totalmente diversa dalla vostra, proprio sono due mondi diversi. Io non dico quale sia migliore o peggiore perché non lo so, su certi lati è migliore una, su altri è migliore l’altra, però è un tipo diverso di adeguazione di vivere quello che avevamo noi.”
“Non so più bene, non so più come, era lezione di francese, salta fuori la parola “grève”, che cosa vuol dire? sciopero, grève è lo sciopero. L’insegnante dice qualche d’uno sa cosa vuol dire? Combinazione lo sapevo e dico vuol dire sciopero. Allora lì è scattato l’indottrinamento. Vuol dire sciopero ma ricordatevi che è una parola che voi non dovete mai pronunciare, una cosa che non dovete sapere, una cosa che non dovete mai fare.”
Nonostante questi esempi, Giulio ci tiene a precisare che non tutti i professori seguivano fermamente il programma fascista, anzi, alcuni si smarcavano dalla linea di pensiero del partito, arrivando anche ad adottare libri di testo vietati dalla censura:
“In compenso avevamo l’insegnante di lettere… insegnava storia della letteratura italiana su un libro proibito, storia della letteratura italiana era un testo fondamentale … ebreo, quindi non si poteva insegnare sui libri di testo ebrei… ”
In questo contesto fortemente oppressivo, anche l’abbigliamento era definito da precise norme che regolavano il modo di vestirsi in base alla sezione frequentata, imposte già ai giovani negli anni dell’ONB e poi del GIL:
“A 14 anni entravi come avanguardista, la divisa si cambiava. La divisa da balilla era pantaloncini corti grigio-verdi, camicia nera e il fez (cappello). Le ragazze avevano credo la gonna nera e un giubbottino e fino ai 14 anni eri avanguardista. La divisa da militare era proprio una divisa grigio-verde. A 18 anni entravi a pieno ritmo nella gioventù fascista e avevi tutti i sabati il corso premilitare dove ti insegnavano attenti e riposo.”