Viola racconta della strage di Cantalupa, nella quale persero la vita sei partigiani, tra cui Adolfo Serafino e Eugenio Juvenal.
Il 23 agosto, sempre con Alma Baral, salii a Bout du Coli da Rocco Galliano che era ferito, e lo trovai immobilizzato a causa di una frattura ad una gamba, sotto una balma. Avvicinandomi sentii la sua voce e con stupore, non vedendo nessuno altro con lui, scoprii che stava parlando con le formiche. Cosa può fare la solitudine! Rocco Galliano venne poi catturato a Pinasca il giorno di Natale del 1944 e fucilato per rappresaglia a Rivoli il 25 febbraio del 1945. Con Alma Baral, Sandrin Fassi e Angelo Poët il giorno successivo 24 agosto dovevo recarmi al colle Mayt (m 2706) per incontrare Marcellin. Passato il colle di Rodoretto, mentre scendevamo, vedemmo le truppe tedesche che si allontanavano dalle Grange Plane (m 2095) e ritornammo indietro. In autunno i nostri collegamenti vennero effettuati in pianura nella zona di Frossasco, Cantalupa e Cumiana, in bicicletta o a piedi, attraverso il colle dell’Infernet (m 865) per Cantalupa ed il colle Marione (m 804) per Cumiana. La sera del 4 novembre 1944, ebbi notizia di un rastrellamento nella zona di Cantalupa e della morte di partigiani e la mattina successiva, in bicicletta, raggiunsi San Martino di Cantalupa. Entrata nella chiesetta, quale angoscia ebbi nel vedere i corpi insanguinati, trucidati, di Adolfo Serafino, di Eugenio Juvenal e degli altri quattro loro compagni. Proprio quei ragazzi che alcuni giorni prima avevo visto sorridenti e pieni di speranza ora giacevano lì allineati uno di fianco all’altro, privi di vita. Ritornando a casa, a Fleccia di Inverso Pinasca, pensavo alle parole che avrei detto al comandante Ettore Serafino sulla morte del fratello e degli altri, ma lo trovai già informato di quanto era successo. Aveva già scritto alcune lettere per comunicare la triste notizia ai genitori ed ai comandanti della zona quando mi accorsi della presenza di truppe nel cortile. Al mio grido: “I tedeschi, i tedeschi”, Ettore Serafino balzò fuori dalla stanza, scese le scale verso il cortile dove si trovavano i tedeschi e di corsa si precipitò verso il Chisone inseguito dalle raffiche di mitra. Non indugiai, raccolsi i documenti ed il cappello alpino sparsi sul tavolo e li gettai sul tetto della casa. Nella sparatoria venne colpito a morte un avventore che si trovava nella trattoria, Gaido Giovanni di Dubbione. Appena allontanati i tedeschi, mentre mia madre da sola ricomponeva il corpo dell’ucciso, dato che mio padre e tutti i presenti nei locali erano fuggiti, io e Vera Mourglia, munite di torcia elettrica, scendemmo la ripa del Chisone col timore di trovare Serafino colpito dalle raffiche dei mitra. Quale gioia alcune ore dopo nel vederlo arrivare incolume! Dopo lunghi giri nelle borgate egli era ritornato per accertarsi che non avessimo subito rappresaglie. Purtroppo alla fine dell’anno ritornai in pianura, a Cumiana, per la morte di altri giovani partigiani, Gianni Daghero (Lupo), Erminio Long e Giorgio Cattil.